Lo screpitìo delle 25.000 luci delle fiaccole, la lettura dei nomi delle vittime che il terremoto ha portato via con sè, i 308 rintocchi della campana della chiesa delle Anime Sante, lunghi interminabili. Fanno da cornice al ricordo di quel tragico momento, un anno dopo. Erano le 3.32 del 6 aprile 2009. Vite spezzate, dolore, urla, smarrimento, polvere dappertutto. Sembra ieri. Per noi, partecipare a questa fiaccolata è stato un obbligo. Un dovere morale e civico. Volevamo a tutti i costi stringerci ai fratelli aquilani, condividere con loro il dolore del ricordo, la ferita che si riapre, condividere lasciatemelo dire, anche la sensazione che in realtà la vita è cambiata per sempre. Tutti abbiamo perso qualcuno o qualcosa quel 6 aprile, conoscenti, amici, parenti. Una casa si può ricostruire, una vita no. Mi dicono. Poco dopo, ho avuto modo di transitare a pochi passi dal luogo dove sono venute a mancare due splendide persone, a me care: la signora Franca ed il signor Claudio che io ricorderò sempre per la loro gentilezza e la loro bontà. Tanta commozione e senso di impotenza di fronte alla forza dirompente della natura che ha lasciato segni indelebili sulla città e sulla mente dei suoi abitanti. Ma la fierezza e la forza d'animo del popolo aquilano traspare anche in momenti tristi come quello vissuto l'altra sera e questo mi lascia riflettere, mi rincuora. Il lavoro non è finito, tantissimo è stato fatto, tantissimo si dovrà fare, ma lasciamo L'Aquila io ed i miei colleghi con la consapevolezza che presto o tardi, tornerà a volare.
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